Il Tabarro

Tabarro aperto

La mia passione per il Tabarro, da qualche anno diventata predilezione, ha radici che affondano nella mia infanzia.

Sono nato nel 1949, nella campagna della bassa padovana al confine sud tra le terre della provincia di Padova e la provincia di Venezia, fredde e nebbiose nelle lunghe stagioni dell’autunno e dell’inverno, assolate e afose nell’intensa stagione estiva con i suoi odori di terra, fieno, grano e paglia inconfondibili e indimenticabili

Da bambino, nel mio paese perduto tra queste terre, vedevo tanti uomini portare il Tabarro per proteggersi dal freddo e dalla nebbia, con un buon cappello calcato sulla testa, fieri, con sguardi severi e per me imperscrutabili, uomini che entravano o lasciavano l’osteria, arrivavano nelle case e dopo discorsi di poche parole se ne andavano silenziosi o, altrettanto silenziosi si sedevano nelle cucine ad osservare distaccati il lavoro delle donne, motteggiando ogni tanto qualche spezzone di pensiero sulla vacca che avevano nella stalla o sulle previsioni di raccolto

Portavano il tabarro i miei nonni; in particolare mi colpì il portamento del mio nonno materno, alto, severo, di bell’aspetto; aveva partecipato, soldato a cavallo, allo sfondamento della linea del Piave da parte della cavalleria italiana nel 1918 contro gli austriaci, con l’ordine, da parte degli ufficiali, di non far bere i cavalli, per quanto era rossa di sangue l’acqua del fiume

Tabarro veneto

Portava il tabarro mio padre, un tabarro militare, più corto del tabarro civile perché i militari dovevano muoversi agevolmente sul terreno; era meno imponente quindi il suo tabarro, era di tessuto grigioverde, più sottile degli altri tabarri, ma trama e ordito erano tali da consentire una buona protezione dal freddo

Sotto quel tabarro tante volte ho viaggiato nei freddi inverni degli anni ’50, seduto sulla canna della bicicletta di mio padre nel tragitto accidentato e fangoso, un chilometro e mezzo più o meno, che separava il suo laboratorio di artigiano falegname dalla nostra piccola, povera, umida casa, come tante ce n’erano in paese, casa perduta anch’essa nelle nebbie e nel gelo della nostra campagna

Questo ricordo mi rimane vivido, indelebile e grato, tenero ed emozionante. Questo ricordo mi ha accompagnato per molti anni, i tanti anni in cui l’evoluzione del costume, degli stili, dei gusti e le disponibilità economiche della mia nuova famiglia mi portarono a vestire come tutti: l’adorato eskimo degli anni ’60 e ’70, i giacconi di varia foggia e fibra negli ‘80, il cappotto o paletot che dir si voglia negli anni ’90; in tutti questi anni il tabarro rimase cristallizzato nel ricordo dell’infanzia e non mi passò mai per la testa che il ricordo potesse trasformarsi in nuova realtà

Dopo che lasciai il lavoro per la pensione, credo anche grazie alla sdrammatizzazione dello stile di vita propiziata dal modo nuovo di guardare la realtà, realizzai che avrei potuto io stesso avere, indossare, portare un tabarro e riscoprire stile, sensazioni, emozioni, relazioni perdute; dall’idea alla passione fulminea il passo fu pressoché istantaneo; grazie all’aiuto di mia moglie trovai l’ottimo sarto Mariangelo di Abano Terme, che in pochi giorni e sfidando la neve sulle strade si procurò la stoffa e realizzò un magnifico Tabarro per me: fu il regalo che mia moglie mi fece per Natale nel 2009, pronto esattamente la vigilia, ricordo ancora bene in mostra sotto le luci della vetrina sul manichino in legno della sartoria, con i suoi scintillanti

Mascherone a testa di leone per Tabarro

mascheroni raffiguranti il leone di S. Marco e l’altrettanto scintillante catenella a tenere i gangheri dei mascheroni

Emozionante indossarlo, molto gratificante la sensazione di protezione e calore, ho immediatamente realizzato il ricordo bellissimo di sicurezza, calore e protezione dell’infanzia. Ecco, il ricordo diventava vero e reale, il Tabarro diventava il capo utile e magnifico da usare per stare bene in modo nuovo, antico e diverso

Tre anni più tardi un altro sarto, Franco di Padova, me ne confezionò un secondo. Il primo tabarro non era del tutto impermeabile all’acqua, sicché, con il cattivo tempo, poteva inzupparsi. Avevo bisogno quindi un tabarro impermeabile alla pioggia: il tessuto in lana follata avrebbe fatto al caso mio. Mi sono quindi messo alla ricerca del tessuto, che non è affatto comune trovare; si tratta di un tessuto di lana bollita e quindi infeltrita al punto tale che i fili dell’orditura e i fili della trama risultano completamente serrati tra di loro e perciò impediscono all’acqua di penetrare, la pioggia quindi si imperla sulla superficie del tabarro senza minimamente inzupparlo. Dopo serrate ricerche nei sempre meno numerosi negozi di tessuti di Padova e dintorni, trovai disponibilità ad occuparsene da parte del Supermercato del tessuto di G. Marcon; andai in negozio a visionare il disponibile, che però non andava bene, ma nel frattempo mi era già stato ordinato il tessuto che mi sarebbe potuto andare bene, prodotto appositamente per questo scopo; passati un po’ di giorni il tessuto arrivò: corrispondeva alle caratteristiche richieste, lana follata, 540 grammi permq., doppia altezza, colore nero. Acquistai i sei metri che mi necessitavano, tanti ne servono per un tabarro a ruota intera, e portai subito la pezza dal sarto, che me lo confezionò con un collo un po’ più alto del precedente e soprattutto un po’ più rigido in modo da ottenere una protezione completa una volta calcato per bene il cappello in testa; a questo proposito ordinai presso il Tabarrificio veneto di Mirano un apposito cappello rotondo in feltro da pioggia, una specie di ampia calotta a tesa larga, naturalmente di colore nero, a ultimare la protezione integrale in caso di tempo freddo con pioggia o neve. Avevo così il tabarro da “tempo secco” e il tabarro da “tempo umido” con il cappello adatto; altro non serviva perché il tabarro sostituisce di per sé sciarpa e guanti. Con ciò sono definitivamente passato da giacconi e cappotti al Tabarro

Tabarro in lana follata idrorepellente

Cosa serve per averlo? O lo si trova pronto in un tabarrificio o si ricorre a un sarto capace. Di tabarrifici ce n’è uno importante a Mirano, in provincia di Venezia, che offre vari modelli molto belli, da quelli pratici a quelli più solenni, uno a Treviso e almeno uno a Venezia

Se si ricorre al sarto bisogna avere la fortuna di trovarne uno capace di tagliarlo; il tabarro tradizionale per la verità dovrebbe essere lasciato e portato a “taglio vivo”, quindi privo di orli, ma oramai è invalso l’uso dell’orlo, più che altro per motivi estetici, dato che il tessuto di lana follata non si sfrangia, se tagliato bene

Trovati sarto, tessuto e mascheroni abbiamo trovato il tabarro, che può avere finiture più o meno elaborate, secondo gusti e tasca; il tabarro classico andrebbe lasciato nell’altezza del tessuto, ma solitamente, ber i brevilinei, si può ricorrere ad opportuno accorcio, senza esagerare, perché il tabarro va portato bello lungo, deve coprire e proteggere ben al disotto del ginocchio, deve dare calore a tutto il corpo e anche un po’ slanciare

I tessuti: i più in uso sono il tessuto misto lana-cashemire e il tessuto di lana follata, di colore nero, ma, per gli stravaganti, viene anche usato il colore blu, mentre il grigio, pur bello, è in genere riservato ai più anziani; la grammatura è intorno ai 540 grammi per mq., ma può essere anche decisamente superiore, dipende dal clima nel quale si vuole usare il tabarro; il tessuto di lana follata consente una perfetta impermeabilità all’acqua, è un po’ più ruvido naturalmente, ma egualmente morbido e di buon panneggio nell’operazione di lancio e avvolgimento

Quanto tessuto: abbiamo detto sei metri doppia altezza per la ruota intera, cioè per il vero Tabarro, mentre la mezza ruota è considerata una semplice mantella

Mascheroni: si possono trovare nelle mercerie, meglio se di vecchia data, perché aumentano le probabilità di trovarli

Gangheri-mascheroni e catena di chiusura del Tabarro

La catena: una breve catena da reperire anche questa in merceria servirà ad agganciare, in caso di stretta necessità, i gangheri dei mascheroni, ossia i ganci o un gancio e un occhiello, posti sui mascheroni, ad impedire, specie in caso di vento, lo scivolamento del tabarro

Alla fine una proposta di incontro a chi porta un tabarro: propongo a tutti di trovarci un giorno a Padova a cavallo tra gennaio e febbraio 2014 nei pressi del volto della corda, per mettere in comune la nostra esperienza e per mostrare la comodità, la portabilità, il comfort e anche la praticità di questo capo e di questo modo di vestirsi d’inverno; potrebbe andare bene un sabato pomeriggio verso le 16.00, ci potremmo fare fare quattro passi sul liston; se qualcuno ha proposte di date, mi metto a disposizione per parlarne e concordare la data migliore per tutti